UN FRAMMENTO DI INFINITO Foglio su foglio
Materiale d’elezione: la plastica. Duttile, trasparente, instabile, sostanza del Novecento ed icona della società dei consumi. Nelle mani di Candida Ferrari, artista parmigiana attiva dai primi anni ‘70, lo scarto industriale diviene elemento sontuoso, che si solleva a creare gocce e filamenti di luce.
Una “pittura” volumetrica che, facendo ricorso ai materiali messi a disposizione dalla tecnologia con-temporanea, persegue, tuttavia, una profonda sintesi di luce e colore, per certi versi riferibile alla tradizione pittorica del XV secolo, da Domenico Veneziano a Piero della Francesca. Scaldando e modellando il plexiglass, piegando i fogli di acetato, colorando le superfici con pigmenti acrilici e colature di bitume liquido, l’artista dipinge ciò immagina, dando corpo a composizioni e collage tridimensionali caratterizzati da continue trasparenze e rifrazioni.
Lavori di natura molteplice che variano al variare della luce e delle condizioni ambientali, del punto di vista e delle modalità di fruizione. Un lieve fiato di vento e i fogli vibrano, la forma respira. Lo spettatore, catturato dalle superfici metallizzate, diviene esso stesso parte dell’opera. Una ricerca rigorosa, pulita e raffinata ma, allo stesso tempo; aperta al gioco, al piacere della realizzazione, ad un fare manuale che, foglio su foglio, richiede grande impegno fisico e notevole concentrazione. I ritagli trovati nelle tipografie vengono, infatti, nobilitati, portati a nuova vita, assemblati a creare lavori a parete o installazioni ambientali, secondo un procedimento di matrice pop, che riconosce allo scarto un potenziale estetico. Il corpus principale delle opere esposte è costituito da una selezione di “Gocce”, alcune delle quali inedite, unitamente ad una serie di “Colonne”, all’installazione “La luce della leggerezza” (2011), in cui si sommano diversi filamenti plastici privi di peso materiale, e a due composizioni intitolate “Foglio su foglio” che danno il titolo alla mostra.
Trait d’union è il senso di leggerezza, per l’appunto, l’apparente fragilità, il ripetersi di forme concave e avvolgenti – gocce d’acqua o colonne verticali – che sembrano custodire una luce propria, intrinseca, non riferibile all’ambiente nel quale sono collocate. Una luminosità che viene amplificata, nelle opere di recente produzione, dai fondi lucidi, soprattutto neri, d’oro e d’argento, riconducibili al mondo della moda e dei profumi perché, come spiega la stessa artista, «non importa l’origine di un materiale, bensì la sua resa estetica, la capacità di scomporre e ricomporre la luce». In ultimo le pennellate, rapide, decise, di matrice informale, che interrompono la continuità grafica dell’impaginato o ne evidenziano i contorni, rivelando la forza di un gesto che, dagli esordi analitici alle esperienze ambientali, si è progressivamente liberato, accettando l’imprevisto, la colatura, il guizzo cromatico che racchiude un frammento di infinito.
Chiara Serri